(Lorenzo Bonini)
L’attuale situazione delle arti figurative si presenta assai complessa. Se da un lato, infatti, a partire dai movimenti d’avanguardia sembra spingere a considerare gli artisti sotto fasce generazionali, corrispondenti a ben delimitate tendenze, dall’altro lato occorre riscontrare che oggi convivono e si sovrappongono le esperienze più disparate, senza un’egemonia indiscussa, come, a uno sguardo superficiale, poteva apparire la situazione dell’arte fino alla metà degli anni ’70.
Caduto il pregiudizio rimbaudiano che prescriveva: “D’etre absolument moderne”, siamo risolutamente entrati nell’epoca detta del postmoderno, che privilegia il gesto individuale. La libertà ritrovata ha consentito ad alcuni giovani artisti, che si erano formati nell’orbita dello sperimentalismo dell’arte: concettuale, dell’arte povera e anche della body art, di rientrare nei territori della pittura. Hanno cosi iniziato ad affermarsi le esperienze poi sistemate sotto diverse etichette, in un campo d’azione quasi predestinato: non più l’America, teatro di grandi ricerche negli anni Sessanta e parte degli anni Settanta, ma la vecchia Europa e in particolare l’Italia. Nel nome della pittura e del recupero della sua dimensione specifica si affermano cosi, con lo spegnersi dei movimenti di lotta studentesca nella fiammata di «autonomia», all’insegna dell’immaginazione al potere sintomatici i grandi murales, antefatti diretti delle decorazioni dei graffitisti, sui muri della Metropolitana di New York, i movimenti che prenderanno il nome di transavanguardia, ipermanierismo o pittura colta.
A me pare si debba cominciare a riconoscere questi fenomeni che hanno contribuito a cambiare il panorama artistico italiano. Tutti quei giovani pittori che negli ultimi tempi si sono fatti avanti, agiscono con un animo diverso da quello che era il nostro negli anni settanta, conducono la battaglia per conto loro, essi hanno trovato la natura e la vita malata dentro la casa cittadina.
Pur nel riconoscimento di una filiazione, è già alluso in queste righe il senso di una differenza, il Realismo di Andrea Mancini infatti, tende a esprimere un sentimento inquietante e tormentoso della condizione umana: quello stesso sentimento che percorre le pagine di Søren A. Kierkegaard padre dell’esistenzialismo. Con realtà l’attento pittore toscano ci mostra una società sofferente, globalmente travolta dal consumismo incalzante che viene scandagliata nelle squallide discariche, dove l’aggrumarsi di materiali dismessi e gettati, narrano e diventano l’anima scellerata di una società allo sbando. Anche la “Spiaggia” si fa simbolo e strumento di raccordo vivo, che unisce scavalcando territori barriere impedimenti, valicando realisticamente idee, dottrine, concezioni di vita, credenze, filosofie e pensieri. Infatti, la massa raffigurata è rivolta in senso d’orientamento sulla battigia che proda l’universo, lo causa e lo ammira. Andrea Mancini dipinge i volti giovanili scandagliandone le forme, i costumi, gli atteggiamenti, la postura, attraverso questi particolari si possono interpretare età, mestieri e professioni di quella moltitudine di persone.
No! Non è un’evasione pittorica. E’ un presupposto della realtà che diventa denuncia, manifesto rivolto a tutti noi. Fissare l’attimo di una massa gesticolante sulla sponda della vita, è come un bastimento che naviga da fermo in balia dei frangenti immobilizzati, in attesa che si concreti la speranza. Dunque c’è, mi pare, chiarissima, una traccia di storia in questa pittura, anche perché non c’è mezzo espressivo utile per ogni esigenza se non per quella per cui è nato. Un’arte in costruzione, bisogna che guardi a molte cose, una pittura che possa vivere quale pittura, come grido espressivo e manifestazione di collera di amore e di giustizia, che possa essere viva e in un movimento reale tra i binari delle stazioni, come sulla spiaggia, sugli angoli delle strade, sulle cantonate delle piazze, nelle sperdute terrigne campagne, nel grigiore delle fabbriche, dentro i quartieri di periferia delle città moderne, tra gli scaffali polverosi dei processi e sotto la sbiadita luce al neon dei grattacieli della burocrazia. Ebbene tutto ciò diventa il pilastro portante di una pittura reale in movimento dentro la società, quindi solo una questione specifica batte su questo punto: la quantità di carne viva che c’è dentro al quadro, perché l’arte non si fa per “grazia” ma, attraverso la quantità di sangue, intelligenza e vita morale che ci si butta dentro, solo così diventa patrimonio di tutti senza farsi comprensibile per partito preso. Dove la maestria e lo stile si avvalgono nel ridurlo a soggetto, mentre il colore si restringe alle gamme sorde delle terre, dei grigi nei neri dei copertoni. Ne risulta così una pittura antigraziosa, che non perseguiva un intento estetico, ma filosofico: rivelare la complessità dell’esistenza e l’aspetto aspro della realtà, pur cercando in esso la poetica. L’uomo, in ogni istante, può scegliere, ma la libertà è anche responsabilità individuale di fronte al bene e al male, e da questo punto di vista genera l’angoscia provvista di echi psicologici. Anzi, si potrebbe dire che qui i colori, la luce, lo spazio si sono imperlati di echi luminosi e di misteri che s’ammalano velandosi di tramonto per accendersi in un’alba di denuncia. Diventando insomma, ognuno di essi e tutti insiemi, elementi dell’infinito, moti che si sovrappongono fino a divenire rappresentativi di una situazione raccontata dall’artista come risultato di meditazione che, rappresenta la solitudine del vivere di una moltitudine. Ecco la grandezza dell’arte consiste nell’individuare e riafferrare, quella realtà da cui viviamo lontani e da cui ci scostiamo sempre più. Quella realtà che noi rischiando di morire senza averla conosciuta e, che è semplicemente la storia della nostra vita, una vita finalmente scoperta e tratta alla luce, veritiera, reale come il movimento nel fluire del tempo, che dimora in ogni momento nell’artista cosciente e negli uomini. Ma molti di essi non la vedono perché inattivi, in un perenne equilibrio su se stessi.
Milano, 2013
L’autore: Il Prof. Lorenzo Bonini è un critico d’arte, saggista ed events-designer che vive e lavora a Milano, ha scritto recensioni e prefazioni su numerosi artisti italiani. Lorenzo Bonini è inoltre titolare dello studio AB Studio d’architettura.