Mercoledì 24 settembre alle ore 18 si inaugura la mostra personale di Andrea Mancini “Water Colours”, opere recenti su carta, presso Ganzo in Via Dei Macci 85/R, 50122 Firenze. La mostra resterà aperta fino al 13 ottobre 2014. Mostra e catalogo curate da un gruppo di studenti del FUA (Florence University of art), Fondazione Palazzi. In foto: Andrea Mancini, “Il quarto stato 2.0” (La terza repubblica), 2014, 400×140 cm
La mostra ha il comune denominatore della tecnica utilizzata in tutte le opere esposte: l’acquerello su carta. Vengono presentati per la prima volta dei ritratti, alcuni esemplari dei dipinti di riciclo, alcune tavole di moda realizzate per lo stilista Massimo Alba e per MrPorter, e soprattutto un mega-acquerello di oltre 4 metri di lunghezza per 1,40 di altezza ispirato al “Quarto stato” di Pellizza Da Volpedo in una originale versione contemporanea intitolata infatti “Quarto stato due punto zero”, nel quale a marciare compatti verso l’ignoto futuro anziché gli agricoltori del celebre dipinto del Pellizza stavolta sembrano personaggi che rispecchiano l’attualità, l’odierna realtà sociale italiana. Catalogo in mostra.
Andrea Mancini, creative and advertising illustrator from the 80s, scenographer with Luca Ronconi in ’99, dedicates the show to what he calls “light painting”: watercolors on paper made for the fashion world, for wide ranges of illustrations and for private collectors.
Andrea Mancini, già creativo ed illustratore pubblicitario dagli anni ’80, poi scenografo con Luca Ronconi nel 1999, dedica la mostra a quella che lui stesso chiama “pittura leggera”: acquerelli su carta realizzati per il mondo della moda, per ampie gamme di illustrazioni, per il collezionismo privato.
A cura di: Mary Madeleine De Regnauld de Bellescize, Jennifer Kelly Hoskins, Haley Markham, and Sadie Sullivan
[highlite]”Amo l’acquerello. è una tecnica lieve ma decisa, fatta di luce e velature quasi invisibili. Essenziale e imprevedibile. È l’arte della leggerezza.”[/highlite]
Watercolours significa acquerelli ed è una parola unica, ma spezzandola in due si crea una curiosa e strana magia: puoi leggerla sia come un modo di descrivere la realtà con i colori freschi e purissimi dell’acqua, oppure come quella tecnica con cui sciogli in acqua dei pigmenti coloratissimi per ottenere una pittura fresca e leggera, ma così leggera da apparire quasi effimera a molti. Critici compresi.
Del resto parliamoci chiaro: l’acquerello in Italia viene considerato per secoli come un preliminare, come una tecnica di studio e abbozzo propedeutica alla stesura “in bella” dell’opera definitiva; un fratello minore del più “materico” ed ambito olio su tela, a cui viene riservato niente di più di qualche sporadica parentesi di autentico virtuosismo nell’ottocento veneziano e napoletano. Nel novecento è la tecnica in prevalenza usata dagli illustratori, dai “cartellonisti” (insieme alla tradizionale tempera) ma si stenta a trovare nel grande mercato opere di ingente valore eseguiti ad acquerello in gran parte del nostro paese.
Nel resto d’Europa, soprattutto in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, l’acquerello ha invece una tradizione più radicata, da Turner in poi si diffuse rapidamente un vero e proprio culto di questa tecnica, specialmente tra gli specialisti naturalistici e paesaggisti.
Ma bisogna arrivare al secolo scorso per vedere una vera e propria riabilitazione. Da Kandiskij in poi comincia ad apparire sempre più spesso nella variegata ricerca degli espressionisti e poi tra gli informali. Si dovranno però aspettare ancora i decenni ottanta/novanta per assistere alla rivalsa di questo mezzo ad opera dei maggiori artisti contemporanei; lo troviamo spesso nei cicli di Gerard Richter, che usa l’acquerello su carta da fotocopie sfruttandone tutta la complessità imponderabile ed imponderata, o David Hockney nei suoi puzzle metropolitani, e ancora il pop-artista Chuck Close nei suoi monumentali ritratti iperrealisti annacquando nano-cromatismi in scale tonali da fare invidia ai più sofisticati scanner digitali in arrivo di lì a qualche anno.
Personalmente ho un debito assoluto, nella mia prima formazione artistica, verso due tra i più famosi illustratori e graphic designer degli anni 70/80: Milton Glaser e Jean Michel Folon. Sono stati per me autentici fari di riferimento, veri maestri di leggerezza espressiva ed hanno insegnato le infinite possibilità creative, e non solo illustrative, dell’acquerello moderno.
Da lì in poi molti gli incroci, le fusioni e gli incontri con altre discipline e linguaggi che hanno ricercato non più la sovrapposizione, ma la trasparenza.
L’acquerello è, se vogliamo, l’arte del “togliere”. Tanto più lasci bianchi-carta, tanto più rendi gli spazi e i volumi. La luce sembra brillare solo dove il colore, la pennellata si fa rada e indugia nel coprire il fondo.
Io per scelta non uso mai dipingere fondi nei miei acquerelli. O meglio, lascio che il fondo esca dalla carta, o se preferite dalla luce.
In questi anni ho imparato a conoscere il carattere assolutamente indipendente dell’acquerello, del tutto ingovernabile ed imprevedibile nel coprire, chiudere o riempire uno spazio, Puoi guidarlo ma devi lasciarlo libero, sarà tanto più generoso di emozioni quanto più sarà autonomo nel respirare e muoversi nel foglio a sua discrezione. Sembra pensare, agire secondo una propria logica mai uguale a se stessa. Negli anni ho progressivamente verticalizzato la posizione del mio piano di lavoro, passando dalla carta stesa sul tavolo orizzontale al cartone affisso al muro o al cavalletto. questo fa combattere una costante guerra contro la forza di gravità, ma i risultati vengono con l’esperienza e come dicono i giapponesi la forza sarà con chi è cedevole. Ed in questo l’acqua (e quindi l’acquerello) non ha niente da imparare, è per sua natura cedevole e per questo straordinariamente potente e forte. Non resta quindi che assecondarlo e dargli tempo, quello che lui chiede con le gocce, per rendere merito alla bellezza. La bellezza dell’acquerello sta in questo: indipendenza, essenzialità e leggerezza. Lasciamo quindi che la bellezza – come il talento – sgorghi spontaneamente, senza forzature, e dalla sorgente si faccia strada nella roccia più dura, come solo l’acqua sa fare.